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Charles Wells e il venditore di Tempo

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Charles Wells e il venditore di Tempo

Racconto di Marta Viazzoli

Mi chiamo Charles Wells, ho trentasei anni, sono infelicemente sposato e ho una figlia, la piccola Beth. Non che non voglia bene a mia moglie Anne, lei è splendida però…

Mi chiamo Charles Wells, ho trentasei anni e lavoro in uno studio legale, non che non sia soddisfatto del mio lavoro però…

Mi chiamo Charles Wells e la verità è che ho un solo grande rimpianto.

Subito dopo essermi laureato conobbi una ragazza di nome Catherine, la ragazza più bella che io abbia mai visto, aveva occhi cristallini, Catherine, occhi che ancora oggi rivedo, ogni tanto, nei mie. Il giorno in cui la conobbi passeggiammo e parlammo a lungo, Catherine aveva uno splendido vestito rosa con fiorellini bianchi. Scese la sera, il cielo era blu, non più azzurro, non ancora nero, cristallino come i suoi occhi. La riaccompagnai a casa. Baciai le sue labbra fresche e mi bastò quell’istante solo per innamorarmi perdutamente di lei. Perdutamente.

Il giorno dopo partii per un colloquio di lavoro, non chiesi a Catherine di venirmi a salutare alla stazione e lei non lo fece. Non la rividi mai più.

Mi bastò un giorno per conoscerla, baciarla, innamorarmi perdutamente di lei, mi bastò un giorno per perderla, lasciarmela scappare come fosse aria, come fosse sabbia, come fosse vento fra le mie dita.

Ottenni il lavoro, quel lavoro che ho ancora adesso, ma persi per sempre Catherine, la donna dagli occhi cristallini che non riesco a dimenticare.

 

 

“Venga, venga, entri, si accomodi”. Mi disse Mr Timeleft con una vocetta stridula.

Entrammo in un bel salone luminoso con dei bei divani bianchi e mobili antichi pieni di libri e cianfrusaglie e candelabri e polvere e posaceneri e riviste e ombrelli e lampade . Mi fece sedere su uno dei due divani e sorrise “ se lei è qui, ci sarà un motivo” disse, “chi le ha parlato di me?”; io intimorito lo guardai e non risposi. Su di lui non sapevo molto, avevo sentito qualche voce, sussurri vigili, strani

pettegolezzi, e in quel momento mentre lo guardavo pensavo che forse era vero quello che avevo origliato, che forse quell’uomo poteva darmi quello che per tutta la vita avevo vagheggiato e per cui ancora mi struggevo. Non ricevendo risposta l’omino, pallido, mi guardò ancora più fisso, mi sorrise ancora più forte, e avvicinò la sua sedia al divano. Poi si protese verso di me e mi sussurrò nell’orecchio “Lei sa cosa vendo, non è vero?”

Ero atterrito, e più avevo paura più sprofondavo nel divano, e più balbettavo imbarazzato; ma c’era qualcosa che mi impediva di distogliere lo sguardo da quel suo sorrisetto inquietante, incorniciato da baffetti radi.

“Io vendo tempo”

In un solo istante mi immaginai di essere al supermercato mentre spingo il carrello fra gli scaffali “Quanto tempo vuole? Un chilo? Un etto? Glielo sfiletto? E’ fresco glielo assicuro. Abbiamo anche del macinato di tempo, e queste polpette, le hai mai provate? Basta così o vuole ancora qualche secondo?”

Tornai alla realtà, il viso del signor Timeleft era vicino al mio. Troppo vicino. E io ero sempre più sprofondato nel divano. Poi si alzò di scatto, dandomi le spalle.

“Quanto tempo le serve signore?”

“u-u-un’ora o d-d-due” balbettai.

“Molto bene”

Dovevo svegliarmi se volevo ottenere ciò che desideravo, ciò che pensavo avrebbe risolto tutti i miei problemi. Deglutii e mi sistemai sul divano mettendomi composto.

Guardai quelle spalle ossute, raccolsi un po’ di coraggio e chiesi “quanto costa un’ora di tempo?”

Lui ridacchiò tossicchiando poi si voltò verso di me “mi chiede quanto costa un’ora di tempo. Quanto secondo lei? Quanto? 100, 1000, 10000 euro?” Iniziò a camminare avanti e indietro con le mani incrociate dietro la schiena e un sorrisetto beffardo.

“Ma non costa niente, mio caro signore. Funziona così: io le do un’ora di tempo. Lei potrà scegliere di tornare indietro nel suo passato per un’ora. Una soltanto. Farà in quest’ora tutto quello che deve. Ma ne subirà le conseguenze. Qualsiasi minimo cambiamento che apporterà al passato si ripercuoterà nel suo presente.”

Senza timore accettai.

Il signor Timeleft mi diede una boccetta con un liquido verdastro, un’ora di tempo in stato liquido, mi disse che sarebbe bastato berne il contenuto e pensare al momento in cui volevo tornare e tutto sarebbe andato liscio. Mi ripeté più volte la sola ed unica controindicazione: se avessi cambiato il passato sarebbe cambiato in modo imprevedibile anche il presente.

Tornai a casa che era ormai notte fonda, Anne si era addormentata sul divano, con il telefono in mano e la lampada accanto alla televisione ancora accesa. Le accarezzai la fronte per sciogliere quella piccola ruga di preoccupazione che aveva ancora fra le sopracciglia e la coprii con una coperta. Poi tornai in veneranda e mi sedetti sul dondolo con in mano la boccetta.

Dopo un primo momento di entusiasmo l’ansia si impossessò di me. La mia fronte iniziava a ricoprirsi di un leggero velo di sudore.

Potevo tornare nel passato e fermare Cath perdendo per sempre Anne e Beth.

La piccola Beth.

Potevo buttare via il liquido verdastro e vivere per sempre con il mio rimpianto, quel rimpianto che mi pesava sul cuore, quel rimpianto che mi stava corrodendo e che non riuscivo più a sopportare.

Tornai in casa, entrai in punta di piedi in camera da letto dove Beth dormiva, serena, nella sua culla, la baciai piano, per non svegliarla e trattenni con fatica le lacrime, che, temevo, avrebbero fatto più rumore dei mie passi. Guardai Anne le sistemai nuovamente la coperta sulle spalle per paura che avesse freddo l’indomani mattina quando non mi avrebbe trovato.

Socchiusi la porta e tornai sul dondolo. Bevvi quel liquido tutto d’un sorso, mi sembrò dolce, quel tempo; ancora oggi alle volte mi passo la lingua sulla labbra, quando nessuno mi guarda, per provare a riassaporarne la dolcezza.

Avevo deciso: tutto sarebbe cambiato, non mi sarei più lasciato plasmare dal mondo che mi circondava, io avrei plasmato il mondo, avrei preso in mano la mia vita, ma per farlo dovevo prendere per mano Cath, dovevo fermarla, tenerla stretta, non lasciarla andare, non perderla più. Ero tornato nel passato.

La rividi, le sorrisi, indossava quel vestitino che mi piaceva tanto. Passeggiammo e parlammo a lungo. Vivevo ogni istante profondamente, non dovevo sprecare nemmeno un secondo di quel tempo prezioso. Trattenevo ogni emozione, ogni occhiata, ogni parola, rivivevo quella giornata intensamente, ogni parte del mio corpo era vigile, la mente concentrata, il cuore come un spugna assorbiva le parole che fluttuavano fuori dalla bocca di Catherine e le registrava attentamente. Scese la sera, il cielo era blu, non più azzurro, non ancora nero, cristallino come i suoi occhi. La riaccompagnai a casa. Baciai le sue labbra fresche. La carezzai piano, quasi avessi paura di romperla, e la guardai profondamente negli occhi.

Non cambiai assolutamente niente del mio passato, rivissi tutto da capo, con due paia di occhi, quelli di un ragazzo, e quelli di un adulto.

La lascia andare, di nuovo, nella notte. La persi, di nuovo. Di nuovo mi scivolò dalle dita, come fosse aria, come fosse sabbia, come fosse vento.

Ma lo feci consapevolmente, senza tentennamenti.

Ma quel peso restava sul cuore, dovevo fare ancora una cosa, per scacciare per sempre il rimpianto.

Tornai nel presente dopo un’ora esatta, come il signor Timeleft mi aveva promesso.

Mi addormentai sul divano accanto ad Anne con ancora le scarpe ai piedi.

Il giorno dopo mi svegliai per primo e andai dal venditore di tempo. Non sembrava affatto stupito di vedermi quando mi ritrovò davanti alla sua porta. Mi fece accomodare sullo stesso divano, nella stessa stanza piena di cianfrusaglie e mi chiese il motivo per il quale ero tornato. Gli raccontai la mia storia senza paura e lo ringraziai. Pallido, mi sorrise, e non trovai più niente di inquietante in quei suoi baffetti radi, poi mi disse che pochi riuscivano a fare quello che avevo fatto io,  la maggior parte dei suoi clienti o non beveva il tempo comprato per paura o codardia, o osava cambiare il passato per poi avere un rimpianto ancora più grande del precedente, quello di aver perso il presente.

Tornai in fretta a casa, bacia Beth, e finalmente raccontai tutto ad Anne. Le raccontai per prima volta di Cath, e di quel bacio, le raccontai di come avevo conosciuto il venditore di tempo e di quello che avevo fatto la notte precedente. Dapprima scettica, mi credette quando le dissi che mi sarei preso una pausa dal lavoro e sarei partito per cercare Cath. Le promisi che qualsiasi cosa sarebbe successa sarei ritornato. Ritornato con il cuore finalmente leggero.

E così fu.

 

 

 

 

 

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