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La festa del lavoro che non c’è

primomaggio

La festa del lavoro che non c’è

Articolo di Arianna Desideri

Uno sguardo alla storia

1889: Congresso della Seconda Internazionale, Parigi. Nella capitale francese si poneva uno dei primi obiettivi di libertà sociale: l’istituzione di un giorno di respiro in cui ingurgitare più aria possibile per urlare a squarciagola il proprio disagio. 24 ore in cui sentire l’abbraccio internazionale dei lavoratori di tutti i Paesi che per scopi comuni lottavano e correvano verso una meta comune: il raggiungimento del tetto massimo di 8 ore lavorative. Si scelse successivamente proprio questa data, il primo maggio, per ricordare gli scontri armati in Canada, ad Ottawa, e la guerriglia urbana dell’86 negli Stati Uniti in cui la polizia sparò sui manifestanti. Nel ventennio fascista italiano la celebrazione venne repressa pesantemente e poi reintrodotta alla caduta del regime. Dal 1991, i sindacati CGIL, CISL, UIL commemorano questa data con un concerto in Piazza San Giovanni.

Ma che valore ha, oggi, questa festa?

Lo spirito di unione che portò i lavoratori a riunirsi per esternare un chiaro messaggio di consapevolezza dei propri diritti ora sembra svanito. Operai che insieme gridavano al proprio padrone di essere stanchi, di voler di più dalla propria condizione penosa, vagano come ombre in un contemporaneo scenario sterile. Ed ora? Sembriamo dormire. Contraddistinti da un sonno velato e da una coscienza riposta nei cassetti dell’accettazione passiva, lasciamo scorrere sulla nostra pelle gli abusi e le sopraffazioni. Sembra assurdo sentire la voce dei sindacati solo nella ricorrenza annuale. Sembra assurdo ricordare solo oggi che quotidianamente dozzine e dozzine di italiani perdono il posto di lavoro, che molti nemmeno riescono a trovarlo, che troppi non sono tutelati. Una data sudata e fortemente richiesta ora simbolo di riposo e di chiusura delle scuole, un momento in cui pensare ad altro, in cui riunirsi per divertirsi e non per riflettere. L’obiettivo prefissato è stato raggiunto, ma siamo sicuri che non ci sia altro per cui tirare fuori gli artigli? Si è dimenticata la vera essenza, il vero motivo. È squallido ricordare pubblicamente la catastrofe che costantemente ci lacera solo in questa occasione. Dovremmo fermarci e capire, riportare alla mente quegli uomini che hanno lottato per conquistare una piccola fetta di dignità. Dovremmo credere che attimo dopo attimo potremmo batterci per migliorare la nostra condizione, non solo oggi, non solo durante la festa del lavoro che non c’è.

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